1200: il Regno di Isabella e Amalrico II

1200: l'Oriente devastato dalla Carestia

Mentre i Crociati conquistavano Costantinopoli, l'Egitto e la Siria erano tormentate dai musulmani. In Egitto, essendo mancata l'annuale inondazione del Nilo, infieriva la carestia, la quale ridusse gli uomini, per la necessità di sfamarsi, a combattersi per l'erba dei campi.

Crescendo la fame, le popolazioni improvvisamente fuggivano dalle loro città a frotte e vagavano di città in città, di villaggio in villaggio, ma invano, perché il flagello della fame, ovunque quei miseri si recavano, li perseguitava.


le donne che mangiano carne umana

Ovunque si trovavano cadaveri rinsecchiti dal lungo digiuno e uomini, donne e bambini che morivano di inedia. La fame spingeva ad ogni eccesso di scellerataggine, e trasformava gli uomini in ferocissime belve, tanto che molti giunsero a cibarsi di carne umana.

Al Cairo, in un solo giorno, furono arse vive sullo stesso rogo trenta donne, perché avevano ucciso e mangiato i loro figli. Oltre a questo fatto gli storici ne riferiscono molti altri della stessa spietata mostruosità, che qui preferiamo non riportare.

Assieme alla fame, sopravvenne la pestilenza; la mortalità fu tale che gli arabi dissero che i morti li poteva contare solo Dio. In pochi mesi in Egitto perirono oltre 100.000 persone. Non essendoci uomini sufficienti a seppellire tanta gente, i cadaveri venivano gettati nella campagna fuori delle mura. Simile mortalità ci fu anche a Damietta e ad Alessandria.

Si avvicinava la stagione della semina e la pestilenza crebbe; quelli che avevano lavorato la terra erano morti e la seminarono altri, ed anche questi perirono senza aver visto il frutto della loro semina che fu raccolto da altri.

La solitudine dei villaggi ricordava al viandante stupefatto il versetto del Corano: “Noi li abbiamo tutti mietuti e sterminati; si udì un grido, e tutti erano spenti”


Gerusalemme

Innumerevoli cadaveri galleggiavano sul Nilo; ovunque vi erano cumuli di ossa umane, le strade ne erano ingombre e le provincie più popolose, dicono gli scrittori arabi, erano come “sala da festino per gli uccelli da preda”.

L'Egitto perse più di un milione dei suoi abitanti. La fame e la pestilenza penetrarono anche in Siria e colpì sia le città cristiane che le mussulmane. Dalle rive del mar Rosso, fino alle rive dell'Oronte e dell'Eufrate, tutto era lutto e desolazione.

A questi grandi mali se ne aggiunse ancora un terzo non meno terribile e fu un terremoto che scosse e devastò anche le provincie non toccate dalla fame e dalla pestilenza. Il mare agitato si gonfiava per poi sprofondare in spaventose voragini per cui le navi si trovavano improvvisamente a secco. Le montagne del Libano si aprirono e franarono in diversi luoghi. Tutti i popoli di Mesopotamia, Siria ed Egitto pensavano che fosse arrivata la fine del mondo.

Alcuni villaggi sprofondarono e sparirono dalla faccia della terra, portandosi nell'abisso molte popolazioni; le fortezze di Hama e di Baalbek crollarono e nella città di Nablus rimase intatta solamente la strada dei Samaritani; a Damasco caddero i maggiori edifici; a Tiro rimasero appena poche case; le mura di San Giovanni d'Acri e di Tripoli caddero. A Gerusalemme le scosse furono meno forti e si videro con stupore musulmani e cristiani unirsi per ringraziare Iddio di aver salvato la città dei profeti e dei miracoli.

Tante miserie e calamità avrebbero dovuto disporre gli animi dei baroni di Palestina ad osservare i trattati e le tregue concluse con i musulmani, ma il Pontefice, informato della situazione in Egitto ed in Siria, raccomandò ai Crociati di cogliere l'occasione per invadere le provincie mussulmane.

Il Re Amalrico II di Gerusalemme, dismessi gli spiriti marziali, si faceva umile esempio di rassegnazione evangelica. I tre Ordini Militari, che durante la carestia avevano consumato i loro tesori per nutrire i soldati, supplicavano con lettere e messaggi i fedeli di Occidente a venire in soccorso.

Fu deciso di ricostruire le città distrutte dal terremoto; le somme raccolte da Folco di Neuilly, predicatore dell'ultima Crociata, furono spese per rifare le mura di San Giovanni d'Acri e, visto che ai cristiani mancavano gli operai, furono posti all'opera anche i prigionieri mussulmani.

1205: la morte di Amalrico II di lusignano

Sebbene la tregua conclusa con i Mussulmani resistesse, nascevano ogni giorno contese dall'una e dall'altra parte, anche con qualche scontro armato. I Cristiani stavano sempre in armi e sia loro che gli Stati mussulmani erano in grande confusione.

Il Principe di Aleppo era in pace col Re di Gerusalemme, mentre Boemondo III, Conte di Tripoli e Principe di Antiochia, i Cavalieri Templari ed i Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni erano in guerra con i Principi di Hama e di Homs e con alcuni Emiri della Siria. Ognuno, a suo piacere, prendeva o deponeva le armi.

Non si facevano grandi battaglie, ma scorrerie in territorio nemico; si sorprendevano le città, si predavano le campagne. Durante questa strana tregua, il Re Amalrico II di Gerusalemme morì; egli, secondo l'usanza dei Cristiani, per la settimana santa era andato a Caifa per raccogliervi le palme, ma si ammalò durante il cammino e, tornato a San Giovanni d'Acri, vi morì. Nello stesso tempo morì anche uno dei figli del Principe Boemondo III di Antiochia.


Cavalieri Templari

Boemondo III era già in età avanzata e, prima ancora che suo figlio morisse, vide nascere la guerra tra il suo secondo figlio, il Conte Raimondo IV di Tripoli, ed il Principe Leone II d'Armenia.

I Cavalieri Templari ed i Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni avevano preso parte a questa guerra e si erano armati gli uni contro gli altri. Il Principe di Aleppo ed i Turchi dall'Asia Minore approfittarono delle divisioni dei cristiani per desolare il territorio di Antiochia.

Gli stati cristiani di Siria, non ricevevano alcun soccorso dall'Occidente, visto che i pellegrini erano spaventati dalle notizie sulle calamità dell'Egitto; addirittura molti baroni e cavalieri della Palestina, non resistendo al furore della fame e della pestilenza, si erano allontanati dalla Terra Santa, andando in parte a Costantinopoli e in parte ritornando in Occidente.

Malgrado tutto il Pontefice Innocenzo III continuava a mantenere il suo proposito di voler liberare la Terra Santa e si avvaleva non solo delle esortazioni ai più ferventi fedeli, ma impose ai baroni e cavalieri “Grandi Peccatori” che si pentivano, che come penitenza venisse inflitto il pellegrinaggio al sepolcro di Cristo.

I grandi peccatori, essendosi presentati al Pontefice a piedi nudi, in sole brache e con la fune al collo, giurarono, presenti i cardinali, di affliggersi con le più austere mortificazioni e di portare le armi contro i Turchi entro quattro anni.

Oltre a questo essi furono condannati a non poter indossare né pellicce né vesti colorate, a non poter assistere ai giochi pubblici, a non riprendere moglie se rimasti vedovi, a camminare scalzi e vestiti di lana, a digiunare con pane ed acqua tutti i mercoledì e venerdì, a fare tre quaresime l'anno, a recitare cento Pater Noster e fare cento genuflessioni al giorno.

Ad un certo cavaliere di nome Roberto, che aveva confessato ad alta voce e in pieno concistoro che, trovandosi prigioniero in Egitto al tempo della carestia, aveva ammazzato sua moglie e sua figlia per cibarsi delle loro carni, il Pontefice gli impose grandissime penitenze, una delle quali fu quella di militare per tre anni in Terra Santa.

Con queste penitenze, il Pontefice mirava a persuadere i popoli cristiani che, mediante il pellegrinaggio in Terra Santa, si purgassero le anime da ogni eccesso di colpa; ma a quel tempo il popolo era persuaso del contrario, ritenendo che Dio fosse sdegnato per la corruzione dilagante, così che non avrebbe mai consentito il recupero di Gerusalemme. Tale opinione nuoceva ai Cristiani di Siria, che precipitavano al loro estremo decadimento.


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