1249: la Campagna d'Egitto
(pagina 4 di 16)

Il Re non voleva fare nessun'altra impresa prima dell'arrivo di suo fratello, il Conte Alfonso III di Poitiers, che stava navigando per l'Egitto. La maggior parte degli storici sono dell'opinione che questa decisione sia stata la causa di tutti i disastri che sopravennero dopo. Non ci sono documenti sufficienti a valutare le loro opinioni, certo è che l'ozio portò l'esercito al disordine e all'indisciplina.


Luigi IX riceve a Damietta il Patriarca di Gerusalemme
(dipinto di Jean-Marie Oscar Gué)

Questi disordini cominciarono a scoppiare quando bisognava dividere il bottino fatto a Damietta; in passato, per incoraggiare i soldati, erano state loro magnificate enormemente le ricchezze di quella città, ma i più ricchi quartieri erano stati incendiati e il popolo si era portato con se ogni cosa preziosa durante la fuga, così che il bottino vinto al nemico era ben lungi dal soddisfare le aspettative dell'esercito vittorioso.

Malgrado che il Legato del Papa minacciasse di scomunica chiunque tratteneva per se qualsiasi cosa del saccheggio e non la poneva nel cumulo comune, il valore del bottino non raggiunse il valore di 6.000 tornesi, così che la sorpresa e l'indignazione dei Crociati esplose in piena violenza.

Inoltre in consiglio era stato stabilito che i viveri non si dovevano dividere, ma si dovevano conservare nei magazzini del Re per il mantenimento dell'esercito e tale decisione, contraria alle vecchie consuetudini, causò molti incidenti.

Jean de Joinville ci dice che il “buon uomo” il cavaliere Jean de Valéry, di cui l'esercito ammirava l'austera probità e il valore, fece su questo argomento una rimostranza al Re, dicendogli le consuetudini della Terra Santa e le leggi feudali che imponevano ai signori l'onere delle spese della guerra e che consentivano anche di spartire le spoglie del nemico.


Luigi IX e i suoi baroni

Si poteva obbiettare a questo reclamo che, essendo il Re a fornire di danaro i principali capi dell'esercito, era implicito il fatto che i Conti e Baroni avessero rinunciato alle leggi feudali. Oltre a questo una tale legge sulla divisione del bottino era stata causa di molti guai nelle precedenti Crociate. Per questo il Re rifiutò di aderire alle richieste dei signori francesi, del che, scrive Jean de Joinville: “parecchi si ritennero insoddisfatti”.

Ben presto al malcontento si aggiunsero i disordini; le milizie si abbandonarono all'ozio e i signori e baroni, confortati dalle promesse dei tesori di Egitto e d'Oriente, si misero allegramente a sprecare in festini e banchetti il danaro avuto dal Re o accumulato con la vendita delle loro terre e castelli.

All'ombra delle bandiere di Gesù Cristo capi e soldati impazzivano nel giuoco e, dopo aver perso ogni loro avere, si giocavano perfino cavalli ed armi e, ancora insoddisfatti, imperversavano in ogni tipo di dissolutezze, le quali si dilagarono per tutto il campo; persino presso la tenda del Re si stabilirono del postriboli dove si commettevano quasi pubblicamente enormi oscenità.

Per soddisfare la sfrenata cupidigia del lusso e dei piaceri, si usavano tutti i modi, non esclusi quelli violenti. I capi dell'esercito saccheggiavano i mercanti che portavano le provviste al campo e alla città, tanto che nessuno di loro volle più accostarsi ai Francesi e questo portò alla carestia.

Allora i più valorosi si misero a fare scorrerie: assaltavano le carovane, devastavano villaggi e campagne e rapivano le donne dei musulmani, portandosele in trionfo a Damietta, dove nascevano le contese per la divisione delle prede, così che tutto il campo era pieno di malumore, di odio, di liti e di confusione.

Di giorno in giorno l'autorità del Re era meno rispettata; l'obbedienza e la disciplina erano bandite, le leggi erano inefficaci ed inutili. Luigi IX veniva contraddetto ed offeso persino dai Principi della sua famiglia. Suo fratello il Conte Roberto I d'Artois, giovane vano e presuntuoso, non potendo sopportare né rivali né chi lo contraddiceva, ingiuriava spesso gli altri capi senza alcun motivo. Il Conte di Salisbury Guglielmo II Longespée, da lui offeso, se ne dolse col Re, al quale, non potendo ottenere soddisfazione, gli disse: “Che Re sei tu dunque, se non puoi rendermi giustizia?”

1249: le incursioni dei musulmani

Tale indomabilità dei Principi portò i disordini al loro estremo; il campo posto nella pianura sulla riva orientale del Nilo veniva sorvegliato a mala pena di notte; così che le avanguardie dell'esercito cristiano erano di continuo esposte agli assalti dei nemici.


un Cavaliere Mamelucco

Fra i soldati musulmani inviati a tormentare i Crociati, vi erano gli Arabi Beduini, guerrieri intrepidi ed instancabili cavalieri la cui patria era il deserto e le uniche ricchezze erano il cavallo e le armi; la sola speranza del bottino faceva loro sopportare straordinarie fatiche ed affrontare ogni pericolo. Abituati a predare, notte e giorno vegliavano spiando i soldati cristiani.

Il Sultano del Cairo aveva promesso un bisante d'oro per ogni testa di cristiano che fosse stata portata nella sua tenda, per cui gli Arabi Beduini facevano la posta ai Crociati che si allontanavano dal campo e spesso li sorprendevano; ancora più spesso, approfittando delle tenebre della notte, penetravano nel campo cristiano e sia le sentinelle addormentate, che i cavalieri al riparo nelle loro tende, venivano uccisi; il giorno dopo si trovavano i loro cadaveri senza la testa che gli Arabi, fuggendo lungo il Nilo, portavano al Sultano d'Egitto per averne la mercede promessa.


Arabi Beduini

Queste assalti notturni servivano principalmente a rinnovare il coraggio dei musulmani, ai quali venivano mostrate le teste dei Cristiani e i prigionieri condotti in trionfo. Nel mese del Ramadan furono condotti al Cairo 37 cristiani prigionieri e alcuni giorni dopo ve ne furono condotti altri 38 tra i quali si contavano cinque cavalieri.

Frattanto pareva che la vigoria e l'attività del Sultano al-Salih Ayyub aumentassero quanto più prossima si faceva la sua fine. Radunava genti; stava sempre attento ai movimenti dei Crociati per approfittare dei loro errori; faceva lavorare i muratori giorno e notte per riparare le torri e le fortezze di Mansura, mentre la flotta mussulmana, che aveva risalito il Nilo, si era ancorata davanti alla città.

Mentre si facevano questi preparativi, giunse la notizia che i guerrieri di Damasco si erano impadroniti della città di Sidone, per cui, tali notizie favorevoli e l'inazione dei Cristiani che veniva attribuita alla paura, riuscirono a dissipare la paura dei musulmani.

Mentre ogni giorno sopraggiungevano nuovi rinforzi all'esercito del Sultano, il popolo correva nelle moschee per invocare la protezione del cielo e ringraziare il Dio di Maometto che aveva addormentato i Cristiani dopo le loro prime vittorie.

1249: la partenza del Conte Alfonso III di Poitiers

Mentre nel campo di Damietta l'esercito cristiano trascorreva il tempo tra tutti gli eccessi dell'indisciplina, il Conte Alfonso III di Poitiers preparava la sua partenza per l'Oriente.

In tutte le chiese di Francia echeggiavano ancora le accorate esortazioni fatte ai guerrieri cristiani; i Vescovi, in nome del Sommo Pontefice, scongiuravano i fedeli ad aiutare con la carità l'impresa contro i musulmani; una Breve apostolica concesse al Conte Alfonso III di Poitiers non solo il tributo imposto ai Crociati per prosciogliersi dal loro voto, ma anche tutte le somme legate per testamento alle opere pie.


Sigillo di Alfonso III di Poitiers

Queste somme, sebbene consistenti, potevano a mala pena coprire le spese di una spedizione che prometteva di essere un'altra Crociata. I cavalieri e i baroni, che già in passato non si erano commossi per l'esempio e per i discorsi di Luigi IX, anche ora non dimostravano alcun fervore, mentre ad altri mancava il denaro necessario per affrontare un tale lungo viaggio.

La religione o il desiderio di gloria non erano stimoli sufficienti a condurre le genti sotto i vessilli della guerra santa. La storia ci ha conservato un trattato mediante il quale Ugo X di Lusignano, Conte di Angouleme, accettò di partire per la Crociata con dodici cavalieri, a condizione che il Conte Alfonso III di Poitiers lo facesse sedere alla sua tavola per tutta la durata della spedizione, gli anticipava la somma di 4.000 tornesi e gli pagava in perpetuo una pensione di 600 tornesi. Questo trattato e altri simili erano una novità nei costumi militari del feudalismo e anche nelle consuetudini della guerra santa.


LA STORIA DELLE CROCIATE LE CROCIATE DEL NORD LA STORIA DELLA RECONQUISTA
I CAVALIERI DEL SANTO SEPOLCRO I CAVALIERI DI SAN LAZZARO I CAVALIERI OSPITALIERI
I CAVALIERI TEMPLARI I CAVALIERI TEUTONICI I CAVALIERI DI SAN TOMMASO I MONACI CISTERCENSI
I CAVALIERI PORTASPADA I FRATELLI DI DOBRZYN L'ORDINE DI SANTIAGO L'ORDINE DI CALATRAVA
L'ORDINE DI ALCANTARA L'ORDINE DI MONTESA L'ORDINE DEL CRISTO L'ORDINE DI SAN BENEDETTO DI AVIS