Alcuni giorni dopo la sua entrata in Costantinopoli, il principe Alessio fu incoronato Imperatore nella chiesa di Santa Sofia. Assisterono alla sua incoronazione i baroni e ricevettero un acconto sulle somme promesse ai Crociati.
Ora fra l'Impero Bizantino ed i Crociati regnava la concordia ed i Crociati, essendo alleati e protettori dell'Impero, non avevano più altra cosa da fare che muovere le loro armate contro i Turchi, ai quali, secondo le leggi cavalleresche, fecero formalmente la loro dichiarazione di guerra.
Vennero mandati gli araldi d'arme al Sultano del Cairo e di Damasco, annunziandogli in nome di Cristo, dell'Imperatore di Costantinopoli e dei Principi e signori d'Occidente, che i Cristiani si disponevano ad assaltarlo se non voleva restituire la Terra Santa.
Contemporaneamente i capi della Crociata informarono del successo della loro impresa tutti i principi ed i popoli della Cristianità e pregarono l'Imperatore del Sacro Romano Impero affinché partecipasse alla Crociata ed accettasse il comando supremo del loro esercito.
Il racconto delle loro gesta, svegliò l'entusiasmo dei fedeli in Occidente, mentre in Siria spaventò i Turchi e riempì di speranze il Re di Gerusalemme ed i difensori di Terra Santa. Contemporaneamente i Crociati cercavano l'approvazione della Santa Sede, per cui furono scritte lettere al Pontefice dal Marchese Bonifacio del Monferrato, dal il Conte Baldovino IX delle Fiandre, dal Conte Ugo di Saint Paul e dagli altri principali capi dell'esercito, nelle quali lo assicuravano che il buon esito della loro impresa non era da attribuirsi al valore umano, ma alla divina volontà.
Anche il nuovo Imperatore Alessio IV Angelo scrisse al Papa una lettera di giustificazione per sé e per suoi liberatori e rinnovò la promessa da lui fatta ai principi di voler riconoscere nel suo Impero il Pontefice di Roma come sovrano ecclesiastico e successore di San Pietro.
Innocenzo III rispose al nuovo Imperatore di Costantinopoli, approvando il suo zelo e le sue intenzioni e lo sollecitò ad adempire alle sue promesse; però non sapeva perdonare ai Crociati di avergli disobbedito e, rispondendo alle loro lettere, non li salutò con la consueta benedizione, tenendoli ancora nella scomunica per aver combattuto contro un Imperatore Bizantino malgrado il papale divieto.
Fino a che il giovane Alessio IV Angelo era stato in condizione di promettere, i Crociati lo favorivano; ma quando venne il momento di avere, gli amici cambiarono in nemici e le cose che erano state facilissime a promettersi, divennero difficilissime ad eseguirsi.
Salito al trono, per il nuovo Imperatore fu impossibile mantenere contemporaneamente la fiducia dei suoi sudditi e quella dei suoi liberatori perché, volendo rispettare la promessa di sottoporre la Chiesa Ortodossa a quella Romana, si ritrovò subito contro tutto il suo clero e volendo mettere nuove imposte per pagare ai Crociati le somme dovute, il popolo insorse lamentandosi delle tasse smodate, rimpiangendo il precedente tiranno. E, quando per compiacere al suo popolo non toccò la Chiesa Ortodossa ed anzi diminuì le sue tasse, ecco che i Crociati si lamentavano del fatto che il trattato non aveva esecuzione e minacciavano una nuova guerra.
Alessio IV Angelo, vedendosi nel pericolo di perdere nuovamente il trono per la ribellione del popolo o per la guerra con i Crociati, scelse di gettarsi ancora nelle braccia del Doge di Venezia e dei baroni, pregandoli di voler essere suoi liberatori per la seconda volta.
Per questo andò nella tenda del Conte Baldovino IX delle Fiandre,
dove tenne questo discorso ai capi della Crociata:
“Signori, è vero che, dopo che con Dio, ho obbligo con voi per aver
recuperato l'Impero; voi mi avete fatto il maggior servizio che ad un principe si possa
fare; ma la presente situazione mi è cagione piuttosto di dolore che di contentezza; perché
molti esteriormente mi fanno buon viso, ma nel cuor loro mi vogliono ogni male; perché il popolo
disprezza che io, per mezzo vostro, sia stato restituito alla precedente condizione.
Si avvicina frattanto il giorno della vostra partenza e la vostra
alleanza con i Veneziani finisce alla festa di san Michele e questo tempo è troppo breve perché
io possa eseguire il trattato fatto con voi.
Oltre a ciò, se voi mi abbandonate così presto, mi lascerete in
pericolo di perdere l'Impero ed anche la vita, perché l'amicizia vostra mi rende odioso al
popolo.
Dietro queste considerazioni, io vi propongo che, se volete rimanere
qui fino al mese di marzo, io mi assumo di far prorogare il vostro trattato con Venezia e di
pagare ai Veneziani quello che chiederanno per tale indugio.
Vi fornirò ancora di ogni vostro bisogno fino alle prossime feste di
Pasqua. Allora io sarò assicurato nello Stato ed avrò sciolto con voi il mio debito. Avrò anche
tempo da procacciarmi le navi per seguirvi a Gerusalemme o per mandarvi le mie genti, secondo i
trattati”.
Fu convocato un nuovo consiglio per deliberare sulla proposta del giovane Alessio IV Angelo. Coloro che già volevano separarsi dall'esercito a Zara e a Corfù, fecero notare all'assemblea che fino ad allora si era combattuto per la gloria e per gli interessi dei principi terreni, ma era ormai venuto il tempo di combattere per la religione e per Gesù Cristo.
Il Doge di Venezia si oppose risolutamente a questa opinione e fu
seguito dai baroni, che avendo basato la loro gloria nella spedizione bizantina, non sapevano
rassegnarsi a perdere il frutto delle loro fatiche, dicendo:
“Non é da tollerare che si rimanga a disposizione dei comuni nemici
di un giovane principe da loro stessi restituito al trono; né che una così grande impresa,
cominciata e condotta con tanta gloria, divenga causa di vergogna e di pentimento. Né tantomeno
é prudente lasciare ai bizantini la facoltà di allearsi con i Saraceni”.
A queste gravi considerazioni i principi ed i signori aggiunsero anche le preghiere e tanto si diedero da fare che, vinta l'opposizione ostinata degli altri, il consiglio decise che la partenza dell'armata andava differita a dopo le feste di Pasqua dell'anno successivo.
Alessio IV Angelo e Isacco II Angelo ringraziarono i Crociati dell'accordato rinvio e fecero ogni cosa per dimostrare la loro gratitudine. Per pagare le somme promesse vuotarono il tesoro, accrebbero le imposte e fecero fondere le immagini dei santi e i vasi sacri. Il popolo, vedendo spogliate le chiese, rimase attonito e impassibile spettatore del sacrilegio. I più pii piangevano per la violazione dei luoghi santi. Ma peggiori mali si preparavano per l'avvenire.
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