EL CID AL SERVIZIO DELLA TAIFA DI SARAGOZZA


>El Cid al servizio di Al Muqtadir di Saragozza


Castello de La Aljafería fatto costruire da Al Muqtadir di Saragozza

Non c'è da stupirsi che un gentiluomo cristiano avesse agito in questo modo, perché le Corti musulmane erano spesso il rifugio dei nobili del Nord. Abbiamo già visto che nel 1072 proprio il Re Alfonso VI aveva accolto Al Mamún, Re della Taifa di Toledo, durante il suo esilio.

Rodrigo Díaz quindi offrì i suoi servigi a diversi Re di Taifa e, alla fine iniziò le trattative con il Re Al Muqtadir di Saragozza, lo stesso che regnava al momento della battaglia di Graus, uno dei più brillanti monarchi dei regni di Taifa, celebrato guerriero e poeta, noto per aver costruito e dato il nome al Palazzo della Aljafería, unico ricordo della sontuosa arte dei Regni di Taifa.


interni del Castello de La Aljafería

Non sapeva che il Conte Berenguer Ramón II, che non apprezzava l'attività dell'esiliato, gli si sarebbe rivoltato contro con conseguenze molto gravi.

Al Muqtadir, che conosceva El Cid Campeador poiché lo aveva visto lottare a Saragozza come alfiere del Re Sancho II di Castiglia, accettò l'aiuto che El Cid gli offriva, piuttosto che accettare quello di uno qualsiasi dei sovrani cristiani confinanti.


in verde il Regno di Taifa di Saragozza

Ma poco dopo aver ricevuto El Cid nella sua Corte, Al Muqtadir morì, lasciando il suo regno diviso tra i suoi due figli; Al Mutaman, il figlio maggiore, ebbe il Regno di Saragozza, e Al Mundir, il figlio più giovane, ebbe le Taifas di Lérida Tortosa, e Denia.

Quindi, insieme al suo seguito, El Cid dal 1081 al 1085 fu al servizio del Re della Taifa di Saragozza Al Mutaman, il quale, anche se gravemente ammalato, era subentrato dal 1081 a suo padre Al Muqtadir. Il compito di El Cid era quello di difendere le frontiere dagli attacchi a nord dagli Aragonesi e contro pressione di Al Mundir di Lérida a est.


La liberazione di Calatayud

Al Mutaman aveva di fronte molte minacce, suo fratello Al-Mundir (Re delle Taifas di Lérida, Denia e Tortosa) pretendeva Saragozza, allo stesso tempo, il Re di Aragona e di Navarra, Sancho Ramírez, i gemelli Conti di Barcelona, Ramón Berenguer II e Berenguer Ramón II cercavano di espandere i loro possedimenti prendendo quelli di Al Mutaman.


il castello di Alcocer

Tra tutti vi era infine Abu Bakr ibn Abd al Aziz, il Re di Valencia formalmente sottoposto al vassallaggio della Taifa di Saragozza, il quale non solo ambiva a liberarsi del vassallaggio, ma cercava di espandere la Taifa di Valencia a discapito della Taifa di Saragozza. Con questa situazione Rodrigo certamente non poteva riposare troppo.

Possiamo vedere che in questo momento c'era una certa tolleranza tra cristiani e musulmani, rotta solo da interventi stranieri (invasioni dei nord-africani o dei Crociati francesi): le alleanze tra cristiani e musulmani non erano strane.

Come prima cosa El Cid andò a liberare la città di Calatayud assediata dal Re Abu Bakr di Valencia, catturò il castello di Alcocer e attese quasi quattro mesi finché provocò Abu Bakr in un attacco che si concluse con la sconfitta di quest'ultimo (1081).


La battaglia di Almenar

Dopo la suddivisione della Taifa di Saragozza in due Taifa, Al Mutaman di Saragozza cercò di sottomettere pacificamente suo fratello, Al Mundhir di Lérida, ma senza successo. Quindi decise di imporsi militarmente.

Intanto Al Mundhir di Lérida, che si aspettata un attacco di suo fratello Al Mutaman, cercò supporto da due tradizionali protettori delle sue terre: il Conte Berenguer Ramón II di Barcellona e il Re Sancho Ramírez d'Aragona.

Durante l'estate del 1082 Al Mutaman di Saragozza, temendo un attacco imminente, inviò El Cid a monitorare il confine con la Taifa di Lérida. A fine estate o inizio autunno del 1082 El Cid, al comando di un contingente di truppe castigliane e di Saragozza, si diresse verso la città Monzón, per consolidare e confermare la fedeltà della città nei confronti del Re di Saragozza.

Ma il Re Sancho Ramírez d'Aragona, appresa la notizia che El Cid Campeador aveva lasciato Saragozza per andare a Monzón, giurò che mai il coraggioso Cid avrebbe osato entrare in quel modo nelle frontiere di Lérida. Quindi si mise in marcia con il suo esercito per Monzón, incontrando lungo la strada Rodrigo Díaz, sperando che la presenza dell'esercito Aragonese lo avrebbe convinto a ritirarsi.

Tuttavia El Cid, malgrado le minacce e lo schieramento degli eserciti di Al Mundhir e di Sancho Ramírez, non si scoraggiò e avanzò sino a Peralta de Alcofea, accampandosi a soli venticinque chilometri da Monzón. Il giorno dopo fu ricevuto con tutti gli onori dal governatore di Monzón, che affermò la sua fedeltà al Re Saragozza.

Una volta confermata la fedeltà di Monzón al Re di Saragozza, El Cid si mise in marcia verso est, per Tamarite de Litera, per rendere sicuro il confine della Taifa di Saragozza dagli eventuali attacchi di Al Mundhir di Lérida. Pochi giorni continuò la sua avanzata per raggiungere e consolidare Almenar, una fortezza della Taifa di Saragozza che si trovava a venti chilometri dal confine con la Taifa di Lérida.


la fortezza di Almenar

In quel momento Al Mundhir di Lérida chiese l'intervento dell'esercito del Conte Berenguer Ramón II di Barcellona e delle truppe del Contado de Cerdaña e Berga, governate a quel tempo da Guillermo Ramón I. Riunite le truppe con il supporto di altri magnati catalani, Al Mundhir mise sotto assedio la fortezza di Almenar, dove El Cid aveva lasciato una guarnigione.

Nel frattempo, El Cid si stava dirigendo a sud, avanzando lungo il confine tra le due Taifa. Dopo un lungo assedio, i difensori della fortezza di Almenar iniziarono a soffrire per la scarsità di acqua, che li mise in una posizione insostenibile.

Rodrigo Díaz, che era nel castello di Escarpe, (situato alla confluenza dei fiumi Cinca e Segre, a dieci chilometri a sud di Fraga) da poco conquistato alla Taifa di Lérida, sollecitò l'intervento diretto di Al Mutaman di Saragozza con la maggior parte delle truppe di Saragozza.

Appena giunto, Al Mutaman propose a El Cid di combattere contro gli eserciti che avevano circondato la fortezza di Almenar, ma El Cid mostrò una certa riluttanza verso la convenienza di un attacco diretto e suggerì ad Al Mutaman di chiedere agli assedianti di togliere l'assedio in cambio del pagamento di una certa somma. Al Mutaman seguì il consiglio del Cid, ma gli assedianti rifiutarono l'accordo, fiduciosi nella loro superiorità rispetto all'esercito di Saragozza.

Vista questa risposta, El Cid si decise ad entrare in battaglia campale dirigendosi verso la fortezza di Almenar, dove andò a incontrare l'esercito di Al Mundhir di Lérida.


la “Tizona” che El Cid ricevette come riscatto
del Conte Berenguer Ramón II di Barcellona

La vittoria andò all'esercito di Saragozza, che mise in fuga le truppe di Al Mundhir e dei suoi alleati. Le truppe di Saragozza guadagnarono un importante bottino e soprattutto catturarono il Conte di Barcellona Ramón Berenguer II e una parte dei suoi cavalieri, sicuramente i membri del suo seguito personale.

El Cid fece trasferire il Conte di Barcellona nella fortezza di Tamarite de Litera, da dove fu consegnato al Re Al Mutaman di Saragozza. Molto probabilmente venne riscattato con una forte somma di denaro, come era consuetudine a quel Tempo. Fu in quest'occasione che El Cid ricevette come riscatto la spada del Conte Berenguer Ramón II di Barcellona, la famosa “Tizona”.

Dopo tale inaspettata vittoria del Cid e il consolidamento del confine orientale del Taifa di Saragozza, Al Mutaman e Rodrigo Díaz ritornarono a Saragozza, accolti dalla folla con grandi dimostrazioni di giubilo.


Il tradimento di Rueda de Jalón

Mentre Al Mutaman ed El Cid combattevano nella battaglia di Almenar, nell'inespugnabile fortezza di Rueda de Jalón, a 35 chilometri da Saragozza, giaceva in prigione il precedente Re di Lérida, Yusuf Al Muzaffar, che era stato detronizzato nel 1081 da suo fratello Al Muqtadir, padre di Al Mutaman di Saragozza.


panorama di Rueda de Jalón (sul monte i ruderi del castello)

Albofalac, guardiano della fortezza di Rueda de Jalón, progettò un complotto. Approfittando dell'assenza di Al Mutaman di Saragozza, il guardiano Albofalac, d'accordo con il suo reale prigioniero Yusuf Al Muzaffar, pregò con insistenza il Re Alfonso VI di intervenire con il suo esercito per sostenerlo in una rivolta contro Al Mutaman e in cambio gli avrebbe dato la fortezza di Rueda de Jalón.

Alfonso VI vide in questa proposta anche l'occasione di raccogliere riscuotere il tributo del Re della Taifa di Saragozza e, nel mese di settembre 1082, il suo esercito si mise in marcia verso la fortezza di Rueda de Jalón, sotto il comando del Principe Ramiro di Pamplona (un figlio del Re di Pamplona García III Sánchez di Navarra) e del Conte castigliano Gonzalo Salvadórez.

Ma intanto Yusuf Al Muzaffar era morto mentre era ancora in prigione e Abulfalac, alla morte del pretendente al trono del Regno di Taifa di Lérida, cambiò strategia e pensò di ingraziarsi Al Mutaman di Saragozza macchinando un modo per sconfiggere il Re Alfonso VI quale aveva promesso di cedere la fortezza di Rueda de Jalón.

Al Mutaman di Saragozza fece sapere al Principe Ramiro di Pamplona che, visto che Yusuf Al Muzaffar era morto e intendeva comunque consegnare il castello di Rueda de Jalón al Re Alfonso VI, lui in persona andò a fare visita al Re per supplicarlo a prendere possesso del castello.


El Cid Campeador
su un francobollo spagnolo

Il Re Alfonso VI si lasciò convincere e, con il suo esercito, si presentò sotto il castello. I comandanti e le prime truppe dell'esercito del Re Alfonso VI si avvicinarono alle mura della fortezza; quando stavano attraversando il cancello, dall'alto cominciò a piovere una furiosa grandinata di pietre che decimò l'esercito del Re Alfonso VI.

Il Re riuscì a schivare la trappola, ma nell'agguato furono uccisi il Principe Ramiro di Pamplona, Gonzalo Salvadórez, Conte di Bureba, e molti signori della Corte. Pieno di dolore, il Re Alfonso VI ritornò al suo campo senza essere in grado di prendersi la rivincita.

Quando El Cid Campeador, che era a Tudela, ricevette la notizia di questo evento, corse con i suoi cavalieri a comparire davanti al Re Alfonso VI. Era l'occasione propizia per far cessare il suo esilio, perché a quei tempi si usava che, quando un esule andava a difendere il suo Re, se questo lo ammetteva al suo servizio, la messa al bando era automaticamente cancellata.

In effetti il Re Alfonso VI, rispondendo alle speranze del Cid Campeador, lo ricevette con molti onori e gli ordinò di ritornare con lui in Castiglia. Ma El Cid Campeador presto capì che la sua presenza era incompatibile con una Corte che non aveva altro che nemici e il Re che non avrebbe fatto altro che tagliargli le ali e ostacolargli nuove imprese e, ancora una volta, prese la strada verso Saragozza.


La battaglia di Morella

Nel 1083, dopo diverse scaramucce sul confine tra il Regno di Taifa di Saragozza e il Regno di Aragona, tra El Cid e il bellicoso Re di Aragona e di Navarra Sancho Ramírez che aspirava ad ampliare il suo piccolo regno pirenaico, Al Mutaman di Saragozza concepì l'idea di catturare l'imponente roccaforte del Regno di Lérida situata sulle le montagne a una ventina di chilometri a ovest del passo della Morella, pensando così di dominare da quelle inattaccabili altezze le fertilissime pianure di Valencia.

El Cid Campeador e i suoi uomini arrivarono su quel nido di aquile che era il passo della Morella, e ricostruirono, a pochi passi dalla roccaforte, il castello di Olocau del Rey (o Pobleta de Olocau).

Il fatto di avere come vicini dei soldati di Saragozza, convinse l'impulsivo Re Al Mundhir di Lérida, fratello di Al Mutaman, propose al Re Sancho Ramírez d'Aragona di costituire un'alleanza per scacciare El Cid dal passo della Morella.


El Cid Campeador e i suoi uomini accampati sul passo della Morella
(illustrazione di Justo Jimeno perla rivista “La España Medieval”)

Nella prima metà del 1084 (probabilmente il 14 agosto, gli eserciti della coalizione, riuniti sulle rive del fiume Ebro, si trasferirono a sud, per avvicinarsi alla mesnada del Cid.

La “Historia Roderici”, fonte principale di questo evento, riferisce che il Re d'Aragona inviò i suoi emissari al Cid per chiedergli di liberare il passo della Morella, a cui El Cid con orgoglio rispose che se il Re d'Aragona voleva attraversare il territorio controllato da lui, avrebbe potuto anche prestarsi a fornire protezione al Re d'Aragona e a tutti gli uomini della sua scorta, ma se il suo desiderio era quello che El Cid lasciasse definitivamente il passo della Morella avrebbe avuto a che fare con lui.

In ogni caso, il 14 agosto del 1084 iniziarono le ostilità, e la battaglia fu abbastanza equilibrata, fino a quando, alla fine, Al Mundhir di Lérida e il Re Sancho Ramírez d'Aragona furono costretti a fuggire inseguiti con determinazione dall'esercito del Cid e di Saragozza.

La rotta dovette essere catastrofica, così come la sconfitta, a giudicare dalla qualità e quantità dei prigionieri catturati, tra i quali figuravano importanti nobili di Aragona, Pamplona, Portogallo, Castiglia e Galizia. Molti cavalieri cristiani, forse alla ricerca di fortuna, erano andati a ingrossare le fila dell'esercito di Aragona.

Tra quelli catturati c'erano Ramón Dalmacio, Vescovo di Roda; l'alfiere della Navarra Sancho Sánchez, figlio del Conte García Ordóñez di Nájera; Blasco Garcés, maggiordomo del Re di Aragona; Pepino Aznárez e suo fratello García Aznárez, vassalli del Re di Aragona; Íñigo Sánchez, Jimeno Garcés, Fortún Garcés e Sancho Garcés, tutti vassalli del Re di Aragona.


El Cid Campeador alla battaglia della Morella
(illustrazione di Justo Jimeno perla rivista “La España Medieval”)

Anche se El Cid liberò la maggior parte dei prigionieri, trattenne il Vescovo di Roda e i magnati della Corte Aragonese, tra i quali il Conte Nuño Méndez del Portogallo, protetto del Re Alfonso VI.

Per la Taifa di Saragozza questa vittoria fu così importante che, alla notizia che El Cid Campeador stava arrivando con tali prigionieri e con tante ricchezze, Al Mutaman, i suoi figli e gli anziani della Corte musulmana, accompagnati dalla maggior parte degli abitanti di Saragozza, uscirono per incontrare il vincitore fino al villaggio di Fuentes de Ebro (situato a 25 km ad est di Saragozza) lo festeggiarono con grande gioia chiamandolo con l'appellativo di “Sidi”.


El Cid Campeador adombrato

El Cid Campeador non voleva opporsi al Re Alfonso VI e molti dei suoi seguaci, stanchi dell'ozio opulento di Saragozza e affamati di gloria, andarono a servire nuovamente le bandiere del Re Alfonso VI di Castiglia e León.

El Cid Campeador inviò al Re Alfonso VI un dono degno di un monarca orientale: cento cavalli dalle magnifiche qualità e con superbe spade appese agli arcioni. Il Re Alfonso VI ringraziò per i doni ricevuti ma non ricambiò con altri doni.

Álvar Fáñez, amico e luogotenente del Cid Campeador che era insieme agli ambasciatori, rimase al servizio del Re Alfonso VI; fu incaricato di proteggere Al Qádir, il Re spodestato della Taifa di Toledo, nominato governatore di Valencia dal Re Alfonso VI, e restare vicino al debole monarca creando un protettorato simile a quello che El Cid Campeador aveva fatto per Al Mutaman di Saragozza. Valencia storicamente dipendeva da Toledo ed entrambe le città rimasero unite sotto lo scettro della famiglia dei Beni Dinum, alla quale Al Qádir apparteneva.

Ora il Re Alfonso VI di Castiglia e León era il vero signore di Valencia e governava la città per mezzo di Álvar Fáñez e del Re fantoccio Al Qádir.


La battaglia di Sagrajas

Al Muqtadir di Saragozza era morto e, nel 1085, sul trono della Taifa di Saragozza c'era suo figlio Al Musta'in II, il quale rifiutò di pagare il tributo al Re Alfonso VI.

Il 25 maggio del 1085 il Re Alfonso VI aveva conquistato la Taifa di Toledo e nel 1086 iniziò l'assedio di Saragozza. Saragozza era sull'orlo della resa, e una milizia castigliana al comando di García Jiménez, stabilita nel castello di Aledo, scorazzando per il Regno di Murcia, raggiunse le porte di Almería.


ritratto di Yusuf ibn Tashfin

La presa di Toledo e l'assedio di Saragozza allarmò Mutamid di Siviglia, Abdallah di Granada, Mutawakkil di Badajoz e i Re di altre Taifas (Almería, Malaga), tributarie del Regno di Castiglia e León, i quali chiesero aiuto a Yusuf ibn Tashfin, Sultano Almoravide del Marocco. Questi sbarcò ad Algeciras al comando di un esercito di berberi e si indirizzò verso nord.

La notizia dello sbarco ad Algeciras, nel giugno del 1086, del Sultano almoravide Yusuf ibn Tashfin, costrinse Alfonso VI di León e Castiglia a interrompere l'assedio di Saragozza del Banu Hud Ahmad II e chiedere l'aiuto del Re Sancho IV Ramírez d'Aragona e ai Principi dell'altro lato dei Pirenei per fronteggiare l'invasione di Al Andalus del califfo Almoravide; contemporaneamente ordinò ad Alvar Fáñez di Valencia di venire in suo aiuto.

Lo scontro tra Yusuf ibn Tashfin e gli alleati cristiani avvenne nella distesa di Sacralias (Sagrajas), sulle rive del fiume Guerrero, alla periferia di Badajoz. Le cronache musulmane si riferiscono alla battaglia con il nome di al Zallaqa. Il luogo della battaglia è stato oggetto di discussione; Oliver e Asín, per esempio, suppongono l'esatta posizione sulle rive del fiume Zapatón, nei pressi della sua confluenza con il fiume Gévora; cioè, a circa 12 km a nord di Badajoz.

Il Sultano Almoravide era giunto nella penisola iberica al comando di 7.000 uomini, ma il suo esercito era aumentato sempre di più, incrementato dalle truppe reclutate in tutta Al Andalus, fino a raggiungere 30.000 soldati. Alfonso VI di di León e Castiglia, nel frattempo, raggiunse il campo di battaglia con circa 60.000 uomini.

I due capi si scambiarono dei messaggi prima della battaglia: Yusuf ibn Tashfin offrì al nemico tre possibilità: convertirsi all'Islam, pagare la Jizyao combattere. Alfonso VI decise di combattere contro gli Almoravidi.

La mattina del 23 ottobre, l'esercito cristiano iniziò l'attacco sotto il comando di Álvar Fáñez. In un primo momento i musulmani ripiegarono verso Badajoz, mentre Alfonso VI, con il grosso dell'esercito, lanciò un'offensiva che causò, all'inizio, la ritirata degli Almoravidi diYusuf ibn Tashfin.

Tuttavia, le truppe cristiane, abituate a rompere lo schieramento avversario con un rapido attacco, trovarono una debole opposizione da parte dei musulmani e, caricati con l'eccessivo peso delle loro armature, ben presto cominciarono ad accusare la stanchezza causata dalla prolungata difesa musulmana, che era stata rinforzata dai guerrieri del Maghreb del generale Çyr Ibn Abu Bakr.

Grazie alla sua superiorità numerica, Yusuf ibn Tashfin potè mantenere la difesa della zona centrale attaccata dai cristiani; poi, in serata, eseguì un classico movimento avvolgente, secondo la tradizione magrebina, verso la retroguardia dell'esercito di Alfonso VI.


guerriero Almoravide

Il rullo fragoroso dei grandi tamburi almoravidi, strumento mai sentito prima nelle milizie della Spagna, faceva tremare la terra e risuonava nelle colline; Yusuf ibn Tashfin, montando il suo cavallo, correva tra i suoi soldati, incoraggiandoli a sopportare la sofferenza che la guerra santa esigeva, ricordando che c'era il paradiso per i moribondi, e il bottino per quelli che sopravvivevano. Questa manovra fu decisiva, e costrinse sia Alfonso VI che Anche Álvar Fáñez a ritirarsi.

Secondo le cronache dell'epoca, le vittime dell'esercito di Alfonso VI furono straordinarie (oltre 59.500 morti) e solo 100 cavalieri poterono ritornare indietro. Alfonso VI, anche se ferito ad una gamba sopravvisse alla battaglia assieme a diversi nobili; ma altri erano caduti in combattimento, tra i quali i Conti Rodrigo Muñoz e Vela Ovéquez.


guerrieri Almoravidi

Ci furono perdite significative anche tra i musulmani, mentre Al Mu'tamid, Re della Taifa di Siviglia, si era infortunato nel primo scontro, ma il suo esempio personale incoraggiò i musulmani nei momenti più difficili della carica cristiana, guidata da Alvar Hànez.

Poi Yusuf ibn Tashfin dovette tornare rapidamente in Africa, per la morte del suo erede, così che il Regno di Yusuf ibn Tashfin non perse molto territorio, nonostante la distruzione della maggior parte del suo esercito.

La sconfitta ebbe un significato notevole, perché era la prima vittoria degli Almoravidi nelle terre di Al Andalus, ed era anche la prima sconfitta del conquistatore di Toledo e l'inizio del processo che culminerà con l'intronizzazione di un Califfo Almoravide in Al-Andalus.

Nel frattempo El Cid Campeador era rimasto inattivo e la sconfitta di Sagrajas dimostrò al Re Alfonso VI quanto grave era stato l'errore allontanare l'imbattuto condottiero dei castigliani.

Per il Regno di Castiglia e León significò la perdita di del tributo che pagavano i regni di Taifa, così come era assolutamente necessaria la riconciliazione di Alfonso V con El Cid Campeador.